martedì 3 gennaio 2012

scava scava.................

Pietro Ancona :
Siamo passati dal governo della "cattiveria" di Maroni-Berlusconi a quello delle carognate di Fornero-Monti. Non ci sarà mai più una legge o una scelta che porti sollievo alle persone o che dia nuove opportunità. Quel poco che resta verrà tolto. I soldi dello Stato debbono servire soltanto per le forze armate e spese ...al servizio dell'imperialismo americano e delle sue industrie belliche. Licenzieranno ancora tanta gente dalla pubblica amministrazione. I servizi saranno tutti privatizzati. Il modello della Banda MOnti è costituito dagli USA. E' il governo più ideologico che l'Italia abbia mai avuto che non spenderebbe un centesimo per la coesione sociale e l'equità in nessun caso. Tutto sarà fatto con il sostegno di Berlusconi, Bersani, Casini e gli altri caporioni dell'indecente parlamento italiano




martedì 3 gennaio 2012

Disoccupati per il fisco,
scovati nei migliori
alberghi di Cortina:
Cicchitto protesta ...........
La finanza tra i Vip di Cortina d'ampezzo per un'operazione di contrasto all'evasione fiscale.
Controlli in alberghi e boutique di lusso, tra porsche e pellicce di visone.
Scovati diversi evasori totali, personaggi del tutto ignoti al fisco che non hanno mai pagato un euro di tassa in vita loro.
Eppure c'è una parte politica che invece di applaudire alle forze dell'ordine, protesta e condanna queste operazioni di contrasto all'evasione fiscale.

La prima palma d'oro dell'imbecillità della casta 2012 tocca a Fabrizio Cicchitto, capogruppo del PDL alla Camera, già deputato del Partito Socialista di Craxi fin dal lontano 1976, e membro della loggia massonica P2.
Cicchitto non si limita a condannare i controlli della finanza nel regno dei VIP di Cortina, ma addirittura minaccia i vertici delle agenzie per le entrate e della Guardia di Finanza affinchè non si permettano di mettere il naso nei conti e negli affari degli straricchi evasori e commercianti di Cortina.
Nel suo comunicato all'ansa di stamane il tono intimidatorio di Cicchitto è alquanto chiaro: "coloro che sovrintendono alla lotta all'evasione fiscale e quindi tra essi in primo luogo il dottor Befera devono anche avere la consapevolezza che operazioni come quelle fatte ieri a Cortina con controlli a tappeto rispetto a tutta un'area perche' presumibilmente popolata in queste vacanze da ricchi sono del tutto inaccettabili e chiaramente ispirate a una concezione ideologica del controllo fiscale".
Qui di ideologia ce ne è ben poca, di soldi nascosti al fisco invece ce ne sono tanti. E a pagare continuano ad essere sempre e solo gli onesti imprenditori, i lavoratori e i pensionati.Insomma, a Cicchì, ma vaffanCortina...

venerdì 7 ottobre 2011

...Quando senza mirare ti agiti

"Chi si spaventa quando sente dire rivoluzione,
forse non ha capito.
Non è una sassata a una testa di sbirro,
sputare sul poveraccio
che indossa una divisa non sapendo
come mangiare;
non è incendiare il municipio
o le carte al catasto
per andare stupidi in galera
rinforzando il nemico di pretesti,
Il dominio è potere malato
cresci soltanto quando ti maturi
corresponsabile:
la gente non è suolo ma semente.
Quando senza mirare ti agiti
la rivoluzione viene a mancare;
se raggiungi potere e la natura
dei rapporti rimane come prima,
viene tradita.
E’ conquistata ad ogni istante quando
creature si organizzano
estinguendo ogni zecca".

Danilo Dolci


pubblicata da Alfonsina Martinet
venerdì 7 ottobre 2011 alle ore 21.38


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C`è un intervista effettuata dalla BBC in diretta, ad un trader, un operatore di borsa, o presunto tale, che ha già fatto il giro del mondo, soprattutto nel mondo del web. Perché tutto questa rilevanza ad una intervista di pochi minuti ad un esperto di questioni finanziarie? Perché il trader ha detto alcune importanti cose, che comunque risultano scioccanti per il grande pubblico televisivo, che non è abituato a sentire come stanno veramente le cose e quindi è impreparato a notizie di questo tipo. Ma cosa ha detto di tanto importante questo signore di nome Alessio Rastani? Ha detto che: questa crisi è come un cancro. Se aspettano e aspettano senza fare niente, questo...
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.Il cinismo disumano della Goldman Sachs
Ve li ricordate ancora quegli imprenditori italiani intercettati che alle tre di notte si voltolavano nel letto per la gioia dopo aver saputo del terremoto all’Aquila? Oggi scopriamo, grazie a un’inchiesta de, Linkiesta, che tutto il mondo è paese Italia.Sì perché il giorno dopo che sono stati resi pubblici i premi ai dirigenti della Goldman Sachs per aver saputo così brillantemente affossare l’economia mondiale provocando la più grande crisi dal ’29 ad oggi, (ma forse il premio è per aver saputo spremere lo stato a dovere), apprendiamo che i giganti della banca d’affari statunitense, dopo le feste e i bagordi nella city si riuniscono nel Gherkin, l’edificio simbolo londinese, in ufficio, per aggiornarsi sulla situazione Fukushima, in Giappone.

I commenti? Eccoli:

«Hai visto il terremoto in Giappone? Io credo che ci faremo un bel po’ di soldi: appena ho sentito della prima scossa sono andato short sulle compagnie di riassicurazione. È suggestivo infatti essere nella sede di una delle maggiori».

«Tagliare le teste funziona sempre quando si tratta di guadagnare. Gli azionisti sono contenti, la profittabilità aumenta, devi pagare meno persone, meno problemi in testa»

«Devi capire che quello che ha fatto Dick Fuld è stato folle. Ha messo in cattiva luce tutto il nostro mondo. Io capisco che dobbiamo forse darci una regolata, ma come facciamo? Io ho da mantenere un impero e per colpa di Lehman ora mi fanno anche sentire in colpa»

«Per me entro cinque anni non esisterà più l’Europa come la conosciamo. Da un lato il Club Med (la parte meridionale, ndr), dall’altro il Core. La Germania si sta già rompendo le scatole di dover salvare tutti»


Il mondo dell’economia è fatto di gente avida e decisamente cinica. Per vostra informazione, volete sapere qual’è stato lo stipendio del Ceo, il direttore generale della Goldman Sachs, Lloyd Blankfein? Esattamente 19 milioni di dollari: il doppio rispetto al 2009.

Mica male per uno che ha quasi fatto fallire una grande banca d’affari americana

domenica 18 settembre 2011

La ragnatela di Berlusconi

L'ANALISI
Le bugie del Cavaliere sempre più ricattabile. Al centro della rete c'è lui, che chiede "ragazze sempre più giovani" e "non troppo alte". E quello che i magistrati chiamano un "comitato d'affari con Finmeccanica e la Protezione Civile"
di MASSIMO GIANNINI
Silvio Berlusconi
SILVIO Berlusconi passerà alla storia come il "premier a tempo perso" 1, secondo la definizione che lui da di se stesso conversando amabilmente con Maristelle Polanco, una delle innumerevoli "bambine" che hanno allietato le "serate eleganti" di Arcore, di Palazzo Grazioli o di Villa Certosa. Il presidente del Consiglio azzarda ora un rancoroso contrattacco.

Protesta sul "Foglio" per l'inaccettabile "aggressione politica, mediatica, giudiziaria, fisica, patrimoniale e di immagine" a cui è stato sottoposto. Denuncia la "campagna di delegittimazione che punta a scardinare il funzionamento regolare delle istituzioni". Lamenta il "regime di piena e incontrollata sorveglianza" al quale lo hanno sottoposto magistrati e giornali comunisti, con l'obiettivo di costruirgli addosso "l'immagine di ciò che non sono, con deformazioni grottesche delle mie amicizie e del mio modo di vivere il mio privato". Accusa sdegnato il "circuito mediatico e giudiziario completamente impazzito", che sta cercando di "trasformare la mia vita privata in un reato".

Bisogna sempre ascoltarlo, il Cavaliere, quando urla la sua onestà politica e il suo rigore morale di fronte agli scandali innumerevoli che lo travolgono. Quando grida al mondo le sue "verità", cercando di mascherare lo "scandalo permanente" della sua vita privata, incompatibile con un incarico pubblico perché esposta al ricatto sistematico e disposta all'abuso di potere. Berlusconi tace o parla d'altro, come sempre. Fugge altrove. Nell'altrove dell'autocelebrazione manipolatoria e del complotto mediatico-finanziario. Lo fa perché non può rispondere alle domande che lo inseguono da tre anni, e che chiamano in causa la sua ossessione sessuale, perseguita e soddisfatta ad ogni costo e con tutti i mezzi. Compreso l'uso di una "ragnatela" di faccendieri senza vergogna (ai quali si consegna inerme, tentando di nascondere i suoi vizi con i suoi soldi) e di manager senza scrupoli (ai quali fa saldare il conto delle sue bravate aprendo al giro dei suoi lenoni affamati la cassaforte degli appalti pubblici). Al centro della ragnatela non c'è Tarantini né Lavitola. Non c'è Intini né Guarguaglini. Il "ragno" è lui. E' lui che chiede "ragazze sempre più giovani" e "non troppo alte". È lui che passa ore al telefono per organizzare i bunga bunga 2. E' lui che retribuisce lautamente i suoi pusher di escort, vestendo i panni della vittima ricattata, quando è in realtà il vero carnefice di se stesso.

Non è un "teorema" mediatico-giudiziario. E' invece il quadro chiaro, che emerge rimettendo in ordine fatti e documenti. Da una parte l'autodifesa del Cavaliere, affidata non solo alla lettera al "Foglio" ma prima ancora al "Memoriale" inviato ai pm di Napoli che cercano invano di sentirlo come testimone. Dall'altra parte le intercettazioni telefoniche, gli interrogatori, le ordinanze dei Gip: insomma i materiali agli atti delle inchieste di Bari, di Napoli, di Milano. Il confronto è impietoso. Il presidente del Consiglio non solo non spiega nulla. Ma depista, confonde, quasi sempre mente.

"TARANTINI, IMPRENDITORE DI SUCCESSO"
Ai pubblici ministeri napoletani che si rifiuta di incontrare Berlusconi scrive poche righe, nel suo "Memoriale": "Ho conosciuto il signor Tarantini e sua moglie alcuni anni orsono. Mi è stato presentato come un imprenditore di successo e da più parti ho avuto su di lui positive indicazioni".

Tutto qui. Il riferimento è vago. Nulla dice sulle modalità e sulle ragioni che hanno fatto incrociare le strade di un capo di governo e di uno spiantato trafficante di escort e cocaina. Nel passato di Tarantini non risultano agli atti "imprese di successo". La sua unica "impresa" è l'organizzazione di un vorticoso giro di prostitute, che lo stesso Tarantini "gestisce" a Bari e offre ai potentati locali, e che assolda dall'estate del 2008 per entrare nelle grazie del premier. Ci riesce, fin da quell'agosto. Di lì a un mese inizia a organizzare le "serate" berlusconiane. Nulla dice di tutto questo, il presidente del Consiglio. Nulla dice delle ragazze che, da quel momento e nell'anno successivo, "ordina" allo stesso Tarantini. Le 3.500 pagine depositate dalla procura di Bari sono un campionario infinito e ormai persino abusato. Basta leggere le conversazioni tra il Cavaliere e il suo "fornitore". "Vedi Giampaolo, ora al massimo dovremmo averne due a testa. Perché ora voglio che anche tu abbia le tue, se no mi sento sempre in debito. Tu porta per te e io porto le mie. Poi ce le prestiamo. Insomma, la patonza deve girare...". "Erano in undici... io me ne son fatte solo otto perché non potevo fare di più...".

Si indigna ora il Cavaliere, nella sua lettera al "Foglio": "È del tutto inaccettabile e addirittura criminale che persone che sono state presenti a mie cene con numerosi invitati siano marchiate a vita come escort". Basta leggere le carte, per scoprire che, ospitate nelle "serate eleganti", le ragazze sono retribuite per le loro prestazioni. "Devo trovare subito una troia", si dispera l'imprenditore cocainomane barese. Paga Tarantini. Ma dai brogliacci della procura emerge che, in diversi casi, paga anche il premier. È il caso del 6 settembre 2008, quando a Tarantini la Di Meglio spiega: "Io non ho detto niente, Stamattina, andando via, ha detto, 'ah metti questo in borsa', e io ho detto 'no guarda, non ti preoccupare, non ti sentire obbligato a...'. 'No mi fa piacere! '. Però io non ho chiesto, assolutamente...". E' il caso, ancora, della telefonata che lo stesso premier fa a Tarantini il successivo 17 ottobre, quando gli dice: "Guarda che hanno tutto per pagarsi da sole, sono foraggiatissime...".

"LAVITOLA, DIRETTORE DI GIORNALE"
Ancora più sintetico, per non dire reticente, si dimostra il Cavaliere quando spiega la sua "Conoscenza con Valter Lavitola": "Conosco Lavitola da parecchi anni, in particolare per la sua attività di giornalista e di direttore di giornale". Tutto qui. Troppo poco, per giustificare quello che i magistrati di Napoli, nell'ordinanza di arresto di Tarantini, descrivono come "un anomalo rapporto di interlocuzione privilegiata", caratterizzato da un "tono di speciale vicinanza". Troppo poco, per spiegare la natura delle relazioni tra il capo del governo e quello che ai pm appare come "un attivo e riservato informatore su vicende giudiziarie di specifico e rilevante interesse dello stesso Berlusconi". In pochi, in Italia, conoscono Lavitola, almeno fino al settembre di un anno fa, quando la macchina del fango berlusconiana parte all'attacco di Gianfranco Fini per la sua casa a Montecarlo e il dinamico direttore-editore dell'"Avanti" sforna documenti taroccati nelle sue ignote trasferte tra Santa Lucia e Panama. Berlusconi apprezza, evidentemente.

E' con Lavitola la telefonata dell'ottobre 2009, quando suggerisce al premier la nomina di un generale "amico" alle Fiamme Gialle: "Presidente, si ricorda la faccenda di cui le venni a parlare, la faccenda del generale? Non per fare il numero uno, per fare una mediazione e lui il numero due...". E Berlusconi, solerte: "Allora lo devo chiamare... Gli fissiamo un appuntamento. Allora lui si chiama? Spaziante?". Ed è ancora con Lavitola un'altra telefonata del 13 luglio scorso, con il premier che chiama con una scheda Wind, intestata a Ceron Caceres, di origine peruviana. Nella conversazione Lavitola parla dell'inchiesta P4, sputa fuoco contro Letta e Bisignani e gli parla di una nota che serve a Paolo Pozzessere, manager di Finmeccanica ora travolto dallo scandalo e dimissionato l'altro ieri, che invece il Cavaliere vuole sentire ("Fammi chiamare da Pozzessere", dice). E' la nota telefonata nella quale il premier dice "... tra qualche mese vado via da questo paese di merda...". Ed è di nuovo con Lavitola la telefonata del 24 agosto scorso, quando il premier consiglia al suo sodale latitante, che lo chiama dall'estero: "Resta lì, e vediamo un po'...".

Perché il presidente del Consiglio intrattiene un rapporto del genere, con un personaggio così losco ed ambiguo? Perché parla con lui usando utenze peruviane? Perché accetta i suoi consigli sulle leggi da approvare, persino sulle nomine da fare nei corpi dello Stato? Perché - come vedremo più avanti - lo riempie di denaro contante, da dividere con il socio Tarantini? Il "Memoriale" non lo dice.

I SOLDI AI TARANTINI, "FAMIGLIA DISPERATA"
La domanda più importante che i pm di Napoli vorrebbero rivolgere al premier, riguarda l'enorme quantità di denaro versato in questi anni a Tarantini. Nell'ordinanza d'arresto del faccendiere il versamento di queste "consistenti cifre e benefici" si quantifica in "appannaggi mensili in forma occuplta di quasi 20 mila euro, più una somma "una tantum di 500 mila euro". Perché questa gigantesca prebenda, a beneficio di uno spregiudicato "spacciatore" di donne e di droga? Nel suo "Memoriale", il premier ripete la favola del "Grande Benefattore": "Dopo il suo arresto Tarantini e la moglie mi scrissero delle accorate lettere... mi fecero sapere di essere in gravissime difficoltà economiche... chiedendomi aiuto per finanziare la loro azienda e per evitare il fallimento... Feci quindi avere al Tarantini e alla moglie del denaro consegnandolo direttamente al Lavitola o facendolo consegnare dalla mia segreteria...".

L'uomo generoso. Questa, dunque, è la leggenda che il premier cuce su se stesso. Carte alla mano, i magistrati di Napoli raccontano nell'ordinanza una verità totalmente diversa. "La ragione giustificativa di tali dazioni risiede nella vicenda processuale radicata a Bari, dove il Tarantini è indagato (per favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione) e Berlusconi è coinvolto anche se solo mediaticamente...". Il premier, in altre parole, paga il silenzio del suo lenone sulla compagnia di escort che gli ha fornito negli anni. Vuole che patteggi la pena, e che eviti così un dibattimento nel quale uscirebbero tutte le intercettazioni telefoniche sulle "serate" di Casa Berlusconi, il cui contenuto è ritenuto "catastrofico per l'immagine del premier".

Ecco perché il presidente del Consiglio paga. Ancora una volta, deve insabbiare e nascondere la sua "sexual addiction". I suoi "aguzzini", Tarantini e Lavitola, non hanno con lui l'atteggiamento che lui stesso descrive nel "Memoriale", raccontandosi come il Buon Samaritano. "Lo dobbiamo tenere sulla corda", "metterlo in ginocchio" si dicono Tarantini e Lavitola al telefono prima dell'estate. Tarantini parla con la moglie Nicla, il 14 luglio: "Quando lui si sputtanerà io gli andrò addosso... lo dovrò mettere con le spalle al muro". Lei gli risponde: "Noi non abbiamo più niente da perdere, lui invece ha da perdere questo e quell'altro... Hai capito, gli compra le case, le sistema, gli trova lavoro a quattro mignotte... Lui si è fatto arrivare a casa minorenni, vogliamo parlarne? E adesso il problema era Giampaolo...". Questo è lo stato d'animo dei Tarantini, "famiglia bisognosa" miracolata dal Cavaliere. E' un presepe che non regge, quello costruito dal premier nel suo "Memoriale". Lo spazza via il pragmatico Lavitola che, a fine luglio dice a Giampi: "Più merda c'è, meglio è".

LE "FOTOGRAFIE" DI MARINELLA
Dunque, il premier paga. Questa verità non può più negarla neanche lui. Come paga? "Si trattava di somme che variavano tra i 5 mila e i 10 mila euro, 5 mila per il Tarantini e 5 mila per la moglie... Ho una cassaforte dove tengo sempre disponibile una somma di contanti....".

Almeno su questo, il Cavaliere non mente. Viola la legge, perché nel tempo versa in nero e in contanti una somma totale che lo stesso Tarantini, nell'interrogatorio del 2 settembre in carcere, quantifica in circa 700 mila euro. Ma non può mentire. Resta da scoprire un'altra verità: perché, se versa il suo obolo per beneficienza, non lo fa alla luce del sole? Perché, viceversa, sente il bisogno di occultare questa "incombenza" affidandola alle cure riservate della sua segretaria Marinella Brambilla, e di farla truccare con quello che i magistrati chiamano "un linguaggio criptico, convenzionale"? E' la farsa delle "foto da stampare", scoperta nella telefonata del 23 giugno tra la Brambilla e Lavitola: "Allora, riusciamo a stampare 10 foto, mandami... chi mi mandi, il solito Juannino, li, il tuo?". Questo è il gergo. Segreto e cifrato, come quello dei gangster. Perché? Se i soldi servono ad alleviare le pene di una famigliola in difficoltà, perché mimetizzarli da "foto" e farli transitare illegalmente usando balordi intermediari sudamericani? Perché occultare le tracce di ciò che si sta facendo, invece che esserne pubblicamente orgoglioso? Il Cavaliere paga non per aiutare, ma per zittire. Per questo non è tranquillo. C'è una prova a carico: è la deposizione della stessa Brambilla, interrogata dai pm il 13 settembre: nel confermare i versamenti, la segretaria racconta che quando il premier gli diede ordine di pagare Lavitola con 10 mila euro "era sicuramente infastidito e piccato: disse qualcosa tipo: 'quello è un rompiscatole'...". Perché quel fastidio, se il "regalo" del Cavaliere era un'opera buona che serviva a sfamare una bocca, e non a chiuderla?

LE AZIENDE PUBBLICHE COME MERCE DI SCAMBIO
C'è un ultima verità, che emerge dalle 100 mila intercettazioni di Bari, e che il presidente del Consiglio non chiarisce. Per la prima volta da quando le inchieste sono cominciate, si profila con nettezza un "metodo Berlusconi" che piega anche le aziende pubbliche e gli apparati dello Stato alle logiche della circonvenzione sessuale e della spartizione affaristica. Nasce quello che i magistrati chiamano un "comitato d'affari sul gruppo Finmeccanica, con la prospettiva di entrare nel capitale di una società di progetto, ancora in fase di costituzione a cui sarebbero stati destinati i circa 280 milioni di euro che il governo aveva stanziato ... per materiali, servizi ed opere per conto della Protezione Civile". E' Berlusconi che si fa chiamare da Paolo Pozzessere. E' Berlusconi, il 12 novembre 2008, che chiama Tarantini dalla sua macchina e passa la cornetta a Guido Bertolaso, seduto a fianco a lui, perché si mettano d'accordo per un appuntamento d'affari. E' Berlusconi, il 10 dicembre 2008, che incontra il presidente di Finmeccanica Guarguaglini, per chiedergli di far entrare Tarantini nella società controllata dalla Selex (di cui è amministratore delegato Marina Grossi, moglie di Guarguaglini) che dovrà gestire l'appalto da 280 milioni della Protezione Civile. "Ho visto Guarguaglini, poi ti riferisco".

Questo è l'abisso, nel quale precipitano il capo del governo e le sue istituzioni, lo Stato e le sue aziende, i soldi privati e quelli pubblici. Questo è il vero "scandalo permanente". Un presidente del Consiglio che usa la menzogna e abusa del suo ruolo. Che semina illegalità e immoralità. Che è ormai interamente posseduto dai suoi vizi, e per questo non può più governare.
(18 settembre 2011) © Riproduzione riservata

giovedì 1 settembre 2011


Achille Conforti
Nella villa del capataz. E tre.
Gli irresponsabili che governano il Paese hanno scritto la manovra in luglio, si sono detti da soli che andava benissimo, hanno respinto ogni critica e ogni consiglio, hanno mentito giurando che non ci sarebbe stato più nessunissimo problema.
Meno di un mese dopo sono stati commissariati e costretti a scriverne un’altra, ma stavolta il coraggio di dire che era una meraviglia non ce l’hanno avuto.
Anzi della loro stessa manovra hanno parlato con tanto schifo che non si capiva più chi l’aveva scritta. Infatti adesso, proprio in queste ore, ne stano scrivendo una terza e vedrete che non sarà l’ultima, perché tempo qualche giorno, se non qualche ora, e la giostra ripartirà di nuovo.
Tutto alla faccia della situazione d’emergenza che richiederebbe un comportamento non diverso ma proprio opposto. I contenuti di questa terza manovra non posso commentarli perché non li conosco ed è chiaro che ancora stamattina, arrivati all’ultimo giorno utile, non li conoscevano nemmeno quelli che dovrebbero vararla, sennò non stavano chiusi a discutere e litigare per ore nella villa di Arcore. I presagi della vigilia non promettono niente di buono, ma la speranza è sempre l’ultima a morire.
Il metodo con cui il governo sta procedendo invece è purtroppo già chiarissimo ed è uno schiaffo in faccia alla democrazia e al Parlamento.
Dopo aver scritto e riscritto la manovra due volte in un mese, era in Parlamento che la si doveva esaminare e modificare, non nell’abitazione privata del signor Berlusconi. Le democrazie, quelle vere, funzionano così.
Nelle democrazie finte, invece, le decisioni si prendono nella villa del capataz e poi si va in parlamento per farle controfirmare dagli Scilipoti di turno. Questa caricatura di democrazia noi dell’Italia dei valori non la accetteremo mai. Se anche la nuova manovra sarà iniqua e inutile come le altre due daremo battaglia in Parlamento e nel Paese per cambiarla.
E nello stesso tempo raccoglieremo anche le firme necessarie per buttare nella spazzatura questa legge elettorale e restituire così al Parlamento repubblicano la dignità che ha perso. (Antonio Di Pietro)

venerdì 8 luglio 2011

RIMANDIAMO TUTTO AL MITTENTE............


“Guarda ‘sti sacchi: è amianto”. Salvatore Napolano, attivista di Legambiente, ci accompagna nel giro all’inferno. Siamo a Giugliano, terza città della Campania. Qui una volta le terre erano fertilissime e il paesaggio agrario di vigne, pescheti, frutteti e campi pieni di verdure, era un pezzo di quel paradiso che non c’è più e che chiamavano Campania Felix. Camorra, politici da rapina, industriali del Nord hanno ridotto Giugliano e i suoi dintorni in “Monnezza City”. Una discarica di veleni clandestini e ufficiali a cielo aperto. Terre stuprate, uomini, donne e bambini avvelenati. Ieri come oggi. Così è da almeno vent’anni. Salvatore si mette le mani nei capelli, scende dalla macchina e ci trascina a vedere da vicino quei sacchi gonfi di morte. “Attenzione pericolo”, c’è scritto, “contiene amianto”. Quattro-cinque sacchi lacerati dalle “zoccole” e dai cani randagi, buttati a terra nella strada sterrata e stretta di via Carrafiello, a ridosso di frutteti dove lavorano ignari o rassegnati contadini , a poche centinaia di metri dalla strada asfaltata dove (e siamo in pieno giorno) si fermano a vendere il loro corpo giovani prostitute balcaniche. Forse i parlamentari della Commissione d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti, in questi giorni in visita in Campania, farebbero bene a lasciare le comode e rinfrescate stanze della Prefettura di Napoli per recarsi qui. Capirebbero molte cose dell’eterna emergenza monnezza in Campania, capirebbero dove abitano le responsabilità vere del più grande disastro ambientale d’Europa, si renderebbero conto che i no della Lega, gli egoismi dei governatori delle regioni del Nord, non sono solo propaganda di basso livello e folklore secessionista, ma qualcosa di ben più grave e pericoloso.

COMPLICITÀ, possiamo chiamarla, complicità ideologica col sistema industriale e produttivo dell’Italia che tira con la peggiore camorra. Al Nord producevano, qui sversavano i loro veleni. Sentite cosa ha detto ai magistrati Gaetano Vassallo, grande imprenditore dei rifiuti in nome e per conto del clan dei casalesi. “Una volta colmate le discariche i rifiuti venivano interrati ovunque. Ci veniva chiesto di concedere l’uso dei nostri timbri (le autorizzazioni legali concesse ai gestori di discariche, ndr) in modo da coprire e giustificare lo smaltimento di produttori di rifiuti del Nord Italia”. Erano veleni, vernici speciali il cui smaltimento legale e non dannoso sarebbe costato cifre enormi. Con la camorra, invece, prezzi da realizzo. I rifiuti speciali di una azienda di coloranti di Savona, racconta Vassallo, “li portammo nella mia discarica per circa 6 mila quintali”. Anche i veleni vomitati dall’Acna di Cengio, i residui della lavorazione dell’industria della concia toscana, quelli delle industrie casearie della Campania, tutto è stato interrato qui, in queste terre. La camorra guadagnava oro: “Duecentomila tonnellate di sostanze tossiche – fa mettere a verbale l’imprenditore della monnezza – ci furono pagate a 10 lire al chilo”. I sacchi di amianto sono a pochi passi da noi, intorno la terra ha un colore grigiastro, anche l’aria e il sole sembrano malati. E il ricordo va a una delle confessioni più inquietanti del pentito Vassallo, che davanti ai magistrati dell’antimafia napoletana tratteggia uno scenario da incubo. “I rifiuti della Mb (una fabbrica del Nord, ndr), arrivavano qui in speciali cisterne di acciaio inox anticorrosivo”. Ma quando il liquido veniva sversato nei fossi scavati alla meno peggio e senza alcun sistema di impermeabilizzazione, gli spazzini della camorra, anche loro, rimanevano a bocca aperta. “Perché quella roba friggeva, era così potente che squagliava anche le bottiglie di plastica che c’erano nel terreno”.

GIUGLIANO, 40 discariche tra abusive e ufficiali, 15 concentrate in soli 5 km quadri, il più grande impianto Stir (trito-vagliatura della monnezza, ndr) dei sette presenti in Campania. Terra di veleni. E di morte. Qualche anno fa una quindicina di esperti (ricercatori Enea, Istituto superiore sanità, Cnr Pisa, Arpa Campania, Università di Napoli e Legambiente), hanno attentamente studiato l’area e le conseguenze provocate sulla popolazione di Giugliano, Villaricca e Qualiano (150 mila abitanti), dalla presenza di discariche. “La mortalità per tumore è risultata significativamente accresciuta con riferimento ai tumori maligni di polmone, pleura, laringe, vescica, fegato e encefalo”. Questa è la drammatica sintesi finale. Ma i rifiuti sono denaro anche per le grandi imprese. Taverna del Re, nome che evoca passati gloriosi, spettacolo allucinante. Qui ci sono le Piramidi della monnezza, 4 milioni di “ecoballe” accatastate in questi depositi all’aperto. Sono il monumento al fallimento della politica dei Commissariati straordinari dal 1998 ad oggi. Montagne di schifo imballato che sono servite alla Fibe-Impregilo per chiedere crediti alle banche, spacciate come combustibile da incenerire nel termovalorizzatori, in parte sequestrate dalla magistratura, in parte messe lì, in attesa di non si sa cosa. Per tutto questo, per questa trasformazione della città in enorme deposito di monnezza, Giugliano doveva essere risarcita. Cinquanta milioni di euro per la bonifica del territorio e delle discariche della camorra, più una serie di misure compensative per la presenza di discariche ufficiali e di impianti. Promesse al vento. Mentre percorriamo la strada del ritorno, a Giugliano ci sono a terra 1500 tonnellate di monnezza, anche qui è emergenza. Le strade che portano a Varcaturo, Licola e Lago Patria, sono una enorme discarica. Perché qui la camorra della monnezza non la ferma nessuno. Continua a stuprare queste terre una volta bellissime.

di Enrico Fierro, IFQ